Grimilde, la difesa di Barberio chiede la revoca delle misure cautelari
Il Pm: "E' pericoloso". Decide il giudice che ha allentato le restrizioni
REGGIO EMILIA – Ora ha 32 anni e negli ultimi 13, da quando era poco più che maggiorenne, avrebbe – per l’accusa – svolto sistematicamente il ruolo di prestanome per la famiglia Grande Aracri, ben attenta per preservarle a non comparire nelle aziende che di fatto gestiva. Ma per Gregorio Barberio, crotonese imputato nel processo “Grimilde” e ritenuto coinvolto negli affari della ‘ndrangheta a Brescello, il giudice potrebbe ora far cadere l’ultima delle misure cautelari a cui è sottoposto, cioè l’obbligo di presentazione alla Polizia giudiziaria.
A decidere sulla questione sarà il giudice Giovanni Ghini che lo scorso maggio (in veste di Gup) ha deliberato “l’allentamento” delle misure restrittive di Barberio, disponendo al posto dei domiciliari l’obbligo di firma. Il legale dell’imputato, perorando l’accoglimento delle sue richieste, ha tra l’altro sottolineato che il 32enne ha dal 3 maggio un lavoro stabile, che dimostrerebbe la sua intenzione di “rigare dritto”.
“Dove lavora mi interessa”, il commento del Pm Ronchi che, riservandosi una replica, ha intanto espresso un giudizio “negativo” sulle “progressive riduzioni delle misure cautelari” a carico dell’imputato. Agli occhi della Procura antimafia Barberio continua infatti ad apparire un “soggetto pericoloso”, anche alla luce dei suoi legami familiari. E’ infatti il cognato di Paolino Lagrotteria, ucciso per vendetta nel 1992 a Cutro da Paolo Bellini, dopo che 13 anni prima aveva lasciato morire il compagno Giuseppe Vasapollo nel rogo di un night club di Reggio, che i due avevano appiccato a scopo intimidatorio.
Ronchi ha infine depositato una “attività integrativa di indagine”, consistente in una “corposa e conclusiva relazione” sul cosiddetto “affare Oppido”, con cui il sodalizio ‘ndranghetistico emiliano riuscì nel 2010 a farsi staccare dal ministero delle Infrastrutture un assegno da oltre 2,2 milioni. Come? Attraverso una falsa sentenza attribuita ad un giudice del Tribunale di Napoli, che imponeva il pagamento della somma a titolo di risarcimento per l’esproprio di un terreno – inesistente – di proprietà dell’azienda dei sodali Domenico e Gaetano Oppido (padre e figlio).
Nel frattempo il testimone della Procura Saverio Pescatore, commissario della Squadra Mobile di Bologna, ha proseguito nella sua deposizione in corso da settimane per svelare – supportato dalle intercettazioni telefoniche – le intestazioni fittizie che hanno riguardato due società dei Grande Aracri. Sono la Nusa Marmi (fondata nel 2005) e la Marmi Nusa, rinata dalle ceneri della prima nel 2009. (FONTE DIRE)